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Chiesa di San Benedetto
La Chiesa di San Benedetto si trova all’interno dell’area interessata, nel 1492, dalla cosiddetta Addizione Erculea, l’innovativo e rivoluzionario progetto di ampliamento urbano progettato da Biagio Rossetti. San Benedetto è un luogo di aggregazione, un centro vivo di storia, perno culturale e spirituale della comunità. Vi basterà uno sguardo per capire l’importanza che questo luogo ha per la città di Ferrara.
Cenni Storici
Questa elegante chiesa venne eretta fra il 1496 e il 1553 dai monaci benedettini che abbandonarono Pomposa, sede dell’omonima abbazia, per fuggire dalla malaria. In origine finemente affrescata, fu distrutta dai bombardamenti che colpirono la città durante la Seconda Guerra Mondiale, per poi essere ricostruita successivamente seguendone fedelmente il progetto iniziale. All’interno della chiesa troverete anche alcuni arredi che richiamano l’aspetto sontuoso che probabilmente aveva in passato.
Forse non sapevi che...
IL PRIMO RIPOSO DI LUDOVICO ARIOSTO. Proprio San Benedetto ospitò tomba dell’Ariosto dalla morte del Poeta fino al 1801, quando venne trasportata all’interno della Biblioteca Ariostea. Fu il poeta stesso ad esprimere al figlio Virginio la volontà di esser posto in una camera, purtroppo andata persa, situata in prossimità dell’ingresso della chiesa. L’epitaffio che adornava la sua tomba viene oggi conservato presso la Biblioteca Vaticana ed è pieno di ironia: “Di Ludovico Ariosto giaccion le ossa sotto questa pietra, o sotto questo tumulo, o sotto qualunque cosa abbia deciso l’amorevol erede o, dell’erede più amorevol, l’amico, o più opportunamente l’occasional viandante: dato non gli fu, infatti, il futuro preveder; tanto gli era il viver a noia da vedersi, qual cadavere, fin la tomba vivamente desiderar. In vita perciò, maturò queste parole che volle sul sepolcro incise: Se propria sepoltura avean un tempo le membra entro l’angusto prescritto spazio era perché il miserello Spirito non trovasse di là quanti pria avea mestamente abbandonati di qua, e là, rimestando la propria polve, a lungo errando vagasse.”